Ottimizzare l’IA per dispositivi embedded: innovazioni dallo Spoke 9 di iNEST
Il lavoro di Laura Meneghetti della SISSA applica tecniche di fluidodinamica per rendere le reti neurali più efficienti su hardware con risorse limitate
Elettrodomestici, smartphone, automobili a guida autonoma: dispositivi come questi fanno sempre più spesso ricorso all’intelligenza artificiale per le più svariate funzionalità – per esempio, il riconoscimento di immagini o l’elaborazione del linguaggio naturale, come fa ChatGPT. Per essere precisi, si tratta di embedded devices, ossia dispositivi architettati per eseguire compiti specifici in modo efficiente, pur disponendo di capacità di calcolo di gran lunga inferiori a quella di un computer.
Ma in che modo si può progettare un algoritmo di IA complesso, ma che al contempo richieda risorse limitate per funzionare?
Per integrare l’intelligenza artificiale nei dispositivi embedded, scienziati e scienziate fanno ricorso a strumenti sofisticati di modellazione matematica e numerica. In questo contesto si inserisce il lavoro di Laura Meneghetti, ricercatrice della SISSA nell’ambito dello Spoke 9 di iNEST. La sua ricerca si concentra su una particolare tipologia di algoritmi di IA, le reti neurali, con l’obiettivo di renderle meno implementabili anche in dispositivi che hanno delle capacità di calcolo ridotte. «Una rete neurale è composta da vari layer, ossia strati, di filtri con una funzione specifica» spiega Meneghetti. Per esempio, nel caso del riconoscimento di immagini, in cui le reti neurali devono analizzare e classificare immagini in base a caratteristiche specifiche, «ogni filtro riconosce una determinata caratteristica all’interno dell’immagine, come la presenza di linee orizzontali o verticali» prosegue la ricercatrice. Mettendo insieme i risultati dei diversi filtri, la rete è dunque in grado di determinare quale sia il soggetto immortalato nell’immagine.
Questa struttura a strati è la chiave per ottimizzare la rete neurale. «Ogni filtro ha un’importanza diversa rispetto agli altri ed è stabilita da una serie di parametri, detti pesi» prosegue Meneghetti. «Per alleggerire il processo, si può adottare un metodo di riduzione dei parametri. Analizzando i pesi, si possono identificare i filtri – e quindi i layer – meno rilevanti: rimuovendoli, non si perdono informazioni essenziali e la rete ottiene gli stessi risultati funzionando in maniera più rapida. Il metodo si concentra prima sulla riduzione del numero di layer e poi sulla minimizzazione del numero di parametri rimanenti, preservando le informazioni cruciali per il funzionamento della rete».
Il metodo di riduzione dei parametri sviluppato dalla ricercatrice della SISSA è basato su tecniche utilizzate in fluidodinamica, la branca della fisica che studia il comportamento dei fluidi. Meneghetti vi lavora ormai da diversi anni: «Durante il mio dottorato, ho applicato con successo questo metodo al riconoscimento delle immagini» afferma. Dopo il dottorato, il suo lavoro ha continuato a evolversi: il metodo è stato consolidato e ne è stata dimostrata l’efficacia su diversi set di dati e reti universalmente adottati per testare questi tipi di algoritmi. Attualmente, il suo team sta lavorando a un articolo scientifico in cui pubblicare tutti questi risultati promettenti.
Il lavoro di Laura Meneghetti ha già trovato applicazione in ambito industriale, grazie a collaborazioni con aziende come Electrolux Professional e Indaco Project. «Il prossimo passo sarà affinare il metodo per applicazioni più complesse e vedere se funziona correttamente con compiti più difficili», sostiene la ricercatrice, «per esempio, non solo classificare ma anche localizzare gli oggetti immortalati nelle immagini». Una simile applicazione potrebbe avere un forte impatto anche in settori diversi da quello dei dispositivi embedded, aprendo la strada a tecnologie in grado di trasformare radicalmente il nostro modo di vivere e interagire con il mondo.